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Valle Intrasca, Intragna e Pontaccio
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Strada vecchia per Intragna
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Strada vecchia per Intragna, bivio
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Veduta Ponte Nivia
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Costruzione della diga, fondovalle
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Costruzione della diga, fondovalle
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Panorama di Caprezzo, 1954 (Archivio Paolo Serao, da gruppo "Verbania Antiche Immagini")
"Tutt'intorno a Caprezzo il territorio è terrazzato, i terrazzamenti esistono sicuramente ancora oggi ma non si vedono più perchè le piante hanno avuto il sopravvento. La cura dei terrazzamenti è andata avanti fino agli anni '60 o '70, poi le persone anziane che si erano dedicate per tutta la vita a questo tipo di lavoro non ce l'hanno più fatta, e nessuno li ha sostituiti". - Graziella Caretti, 2018 -
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Panorama di Caprezzo, 1944 (Archivio Riccardo Papini, da gruppo "Verbania Antiche Immagini")
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Panorama di Caprezzo, 1943 (Archivio Riccardo Papini, da gruppo "Verbania Antiche Immagini")
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Panorama di Caprezzo, 1931 (Archivio Riccardo Papini, da gruppo "Verbania Antiche Immagini")
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Panorama di Caprezzo, 1965 (Archivio Riccardo Papini, da gruppo "Verbania Antiche Immagini")
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
"I primi abitanti, per sentito dire, erano giù sotto il cimitero in località Prèe. Caprezzo si forma perché nella zona di Intra la gente non ci stava più, allora qualcuno ha iniziato a salire con bestie, attrezzi ecc. per lavorare la terra e dopo si sono fermati. I primi più in basso, poi per una questione di sorgenti di acqua sono venuti più a monte perché dovendo stare qui sempre avevano la sorgente vicina per prendere l’acqua per far da mangiare, lavare ecc. Quando si sono stanziati avranno iniziato a creare dei terrazzamenti con i sassi per avere del terreno piano per coltivare segale, orzo, tutti i cereali per il pane e la canapa. La canapa per i vestiti veniva mischiata alla lana e si avevano dei vestiti impermeabili. E c’erano i telai. Alcuni avevano i bachi da seta, i gelsi, ma la portavano a lavorare giù a Intra e alcuni bozzoli navigavano sul lago per arrivare in zona Como". - Graziella Caretti, 2018 -
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
"Oggi non abbiamo più la conoscenza di un tempo, ed è cambiata anche l’aria, oggi con più inquinamento le cose durano meno. Qui prima che ci fosse la Montecatini-Montefibre era tutto pieno di castagni sani, dopo son cominciate a venire le malattie, soprattutto ai noci (qui facevamo l’olio di noci, non c’era quello di oliva, dovevamo portarle al frantoio a Cossogno o Scareno, con i gherigli già aperti e pronti, e tornavamo con la damigianetta. Si usava per la cucina e per la luce). I terreni erano di proprietà del comune, la gente pagava un tanto e piantava le piante di noci per averle per la famiglia. Questi terreni, dopo un po’ che li avevano, alcuni li mettevano come successione, e solo adesso è saltato fuori che molti terreni sono a uso civico, ma sopra ad alcuni gli eredi ci hanno costruito sopra delle cascine". - Graziella Caretti, 2018 -
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
"Sui terrazzamenti le viti non sono in mezzo, ma sui bordi. C’era l’ "altèn", cioè l’acero campestre, che li sosteneva, o piantavano dei pali. Le tenevano alte perché quando venivano le pecore non potessero andare a mangiare i germogli. Le pecore non potevano girare quando volevano, solo dopo la festa di San Bartolomeo potevano lasciarle libere, altrimenti si dovevano curare. Le portavano nel bosco e passavano dove c’è la Via Crucis, magari quaranta pecore insieme. E queste passavano ma magari sconfinavano, mangiavano l’erba di qua e di là, allora hanno scritto raccomandazioni varie perché non danneggiassero i prati degli altri. C’erano anche tante piante da frutta, pere, mele… Fino al 1950-55 ce n’erano talmente tante che alcune donne le mettevano nella gerla e andavano a venderle a Miazzina, dove c’era il sanatorio e tanti villeggianti. Le patate arrivano qui solo nell’800, anche pomodori, mais. Prima c’erano soprattutto castagne. A me raccontavano una storiella di un ragazzo che era stufo di mangiare sempre solo polenta di castagne e allora un giorno prende la tazza, va fuori e la sbatte contro una pianta. Solo che arriva a casa e non c’era altro a mangiare, allora è dovuto tornare indietro e leccare la pianta. Quando io non volevo mangiare me la raccontavano!". - Graziella Caretti, 2018 -
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Panorama di Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Veduta della località Vico, Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
"Il Furignone divide Vico e Al Corte. Non ci sono rivalità, ma Vico, che significa "abitato dai Vicini" era la zona di quelli che avevano in mano l’organizzazione della vita del paese, che era soprattutto legata alla cappella. Infatti la chiesa, con la relativa cappella che ora non c’è più, si trova a Vico. Al Corte era abitata piuttosto da gente che lavorava, coltivava. In un documento dell’istituzione della Parrocchia, nel 1617, si parla proprio dei Vicini che erano presenti ed avevano un ruolo importante: per pagare il viaggio da Caprezzo a Pallanza dove c'era il Vescovo, per firmare tutti i documenti, tutti dovevano qualcosa al parroco in denaro o in grano, segale ecc. A chi non poteva dare niente subentravano proprio loro, i Vicini". - Graziella Caretti, 2018 -
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Panorama di Caprezzo dal Santuario della Madonna del Sasso (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Panorama di Caprezzo, anni '70 del '900 (Archivio Rinaldo Pellegrini)
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Veduta della località Al Corte, Caprezzo (Archivio Rinaldo Pellegrini)
"Ogni famiglia aveva un po’ di appezzamenti in giro. Noi siamo riusciti ad averne anche un po’ grandi perché mia nonna era figlia unica ed è arrivato tutto su di lei come eredità. Il comune dava in gestione con uso civico soprattutto terreni con piante di castagno, anche nel corso di tutto l’800. In un mio documento dell’inizio dell’800, una specie di tentativo di divisione, il notaio scriveva che c’erano anche dei castagneti dati in affitto dal comune, e la persona che sfruttava questi castagneti doveva tenere in ordine il prato circostante, raccogliere le castagne e tenere in cura le piante. Il bosco era anche pulito allora perché tutti gli anni c’era un grosso taglio di piante, dato che non c’era il gas e bisognava usare la legna tutto l’anno. Fino al 1950-51, quando sono arrivate le prime bombole, qui per far da mangiare si usava la legna, per scaldare il latte magari c’era un fornellino elettrico in tutte le case perché capitava di fare qualcosa di caldo al volo se un bambino stava male, ma per far da mangiare si usava il camino o la stufa, comunque con la legna. La legna era necessaria per scaldarsi da ottobre a maggio e anche nei mesi estivi per fare da mangiare. Quindi tutti gli anni la legna veniva tagliata, e c’erano uomini esperti che sapevano se tagliare quella pianta, piuttosto che l’altra ecc. durante l’inverno, ognuno aveva i suoi attrezzi, senza motoseghe, tutto a forza di braccia, era anche pericoloso. Bisognava sapere quando tagliare, perché ogni albero se lo si tagliava un certo giorno con una certa luna non veniva il tarlo". - Graziella Caretti, 2018 -
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Veduta del paese di Caprezzo, 1959 (Archivio Amelia Gagliardi)
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Veduta del paese di Caprezzo, 1959 (Archivio Amelia Gagliardi)
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Veduta del paese di Caprezzo, 1959 (Archivio Amelia Gagliardi)
"Tra di noi usiamo un nome diverso per ogni lcalità. La metà del paese la chiamiamo la Butìae. Andando in giù è la Ciusùra, dove il paese finisce, più avanti all’opposto è la Cavarèscia. Ogni tanto dico che ogni sasso ha il suo nome. Dove c’è la mia cascina è le Runchèe, una zona molto lavorata. Tra la piazza e il Circolo è il Mulìn perché c’erano tanti mulini. Il Pumèe è dove c’è il lavatoio, la zona delle mele.
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Panorama da Caprezzo, 1959 (Archivio Amelia Gagliardi)