Prima di giungere all’alpeggio di
Muntüzze (Montuzza, come dicono i cossognesi - Montuzzo, come si legge sulle mappe), provenendo da Cicogna, in località Cà de Strüse si può ammirare, collocato a monte del sentiero, il bellissimo edificio circolare in pietra, con tetto in piode, che ospitava il torchio. All’interno vi è ancora la base in pietra scanalata, mentre la vite di legno fu rubata e il ladro fu visto mentre scendeva a Rovegro in bicicletta con la vite legata alla canna.
La stessa struttura circolare del torchio si trova in un gabinetto nell’abitato di Montuzza, e in un gabinetto a Cicogna (
link). In Montuzza ogni famiglia aveva il proprio servizio igienico, in genere di fattura molto rustica. Il più bello era proprio quello di forma circolare della famiglia d’ Ghindun, ancora esistente.
Montuzza era un paese vero e proprio, caricato da una quindicina di famiglie, tutte di Cossogno. All’alpe andavano donne e bambini dato che gli uomini emigravano come scalpellini e come muratori in Alta Savoia e Svizzera. L’alpe era caricato dalla primavera al tardo autunno con poche mucche: due o tre al massimo per ogni famiglia. Erano alpi magri. Nel periodo centrale della stagione, cioè dal 20 luglio a fine agosto, le famiglie Massera salivano ai pascoli alti, a Ucciascia. Il latte veniva conservato in appositi locali che servivano anche per far stagionare il formaggio ed erano chiamati “locali del latte”. Le cantine erano destinate al vino prodotte in diversi
curt da uve nostrane. Inoltre vi era depositata l’acqua perché in Montuzza bisognava andare a prenderla con il
brantàl a una sorgente verso
Crusane. L’acqua del riale di Montuzza (detto
i Funtànn) era pesante ed oleosa e si dava solo alle bestie.
In Montuzza c’era un’antica chiesetta diroccata e il citato torchio comune, a testimoniare l’importanza della viticoltura in passato. Ogni casa aveva la
grà, alimentata dal focolare centrale, delimitato da un cordolo quadrato di sassi, detto
brantanà. Sulla grà si essiccavano le castagne.
Durante il rastrellamento del 1944 Montuzza fu bruciata quasi interamente. Dopo la guerra alcune baite furono ricostruite con grandi fatiche. Gli ultimi a venire via sono stati i genitori di Carolina Tamboloni. Era l’anno dell’asiatica a metà anni ‘50. Poi rimase un solo uomo, detto
Scapato, che, venuto da via, è sempre vissuto lì
. Negli anni seguenti è stato rubato tutto: attrezzi di lavoro, cassoni e il povero arredamento delle baite.
(Liberamente tratto dalle testimonianze di Carolina Tamboloni, 1914 e Candido Massera 1916, in “Val Grande, ultimo paradiso”, di Teresio Valsesia, Alberti Editore 1985).
Before reaching the
Muntüzze mountain pasture (Montuzza, as the inhabitants of Cossogno call it - Montuzzo on the maps), coming from Cicogna, in Cà de Strüse you can admire, upstream of the path, the beautiful circular stone building, with a stone slab (piode) roof, which housed the press. Inside there is still the grooved stone base, while the wooden screw was stolen and the thief was seen while descending to Rovegro by bicycle with the screw tied to the crossbar.
The same circular structure of the press is found in a water closet in the village of Montuzza, as well as in a water closet in Cicogna (
link). In Montuzza every family had its own water closet, which was usually very rustic. The most beautiful was the one with a circular shape of the d’Ghindun family, still existing.
Montuzza was a real village, frequented by about fifteen families, all from Cossogno. Women and children went to the mountain pastures, while men emigrated as stonecutters and masons to Haute-Savoie and Switzerland. The mountain pasture was frequented from spring to late autumn with a few cows: two or three maximum for each family. They were small mountain pastures. In the middle of the season, that is from July 20 to the end of August, the Massera families went up to the high mountain pastures, to Ucciascia. The milk was stored in special rooms that were also used to age cheese and were known as “
i locali del latte” (the milk rooms). The cellars were used for wines produced in different
curt from local grapes. Moreover, water was stored there because in Montuzza it was necessary to go and get it with the
brantàl from a water spring towards
Crusane. The water of the Montuzza stream (called
i Funtànn) was heavy and oily and was only given to animals.
In Montuzza there were a small ancient church and the mentioned collective press, to testify to the importance of viticulture in the past. Each house had
the grà, fed by the central hearth, delimited by a square kerb of stones, called
brantanà. The chestnuts were dried on the
grà.
During the mopping-up of 1944 Montuzza was burnt almost completely. After the war some mountain huts were rebuilt with great efforts. The last ones who abandoned Montuzza were the parents of Carolina Tamboloni. It was the year of the Asian flu pandemic in 1950s. Only one man remained there, known as
Scapato, who had always lived there
. In the following years everything was stolen: working tools, chests and the poor furniture of the mountain huts.
(Freely taken from the testimonies of Carolina Tamboloni, 1914, and Candido Massera 1916, in “Val Grande, ultimo paradiso”, by Teresio Valsesia, Alberti Editore 1985).